Benvenuti a tutti. Comincia la seconda parte dello speciale dedicato al grande musicista Bill Bruford. Musicista più che batterista, in quanto la sua rara intelligenza, sensibilità e voglia di sperimentare lo ha portato in 41 anni di carriera a travalicare il ruolo canonico e stereotipato che vuole il batterista, semplicemente come colui che accompagna i musicisti. Continuo sperimentatore di suoni e soluzioni ritmiche originali e ricercate in vere e proprie composizioni ritmiche, Bruford ha sempre denunciato il ritardo che il mondo della batteria, dal punto di vista della ricerca e della tecnologia applicata soffre nei confronti di altri strumenti musicali elettrici ed elettrificati, soprattutto nei confronti delle tastiere. Un ritardo che Bruford ha cercato di colmare con l’utilizzo entusiasta ma un po’ ingenuo delle, all’epoca, rivoluzionarie batterie Simmons.
Ma avremo modo di approfondire questi argomenti nel corso della puntata, come di approfondire le varie tappe della sua carriera insieme ad altri musicisti meravigliosi pari a lui, provenienti da ogni parte del globo, da diverse culture, stili e atmosfere in un eclettismo da piccola e intelligente unità mobile, tanto paventata da Robert Fripp, che per molti anni è stato suo compagno di viaggio, in un rapporto sempre conflittuale ma sempre prolifico.
La Bruford Band
Bill Bruford sembra appagato dal gruppo che porta il suo nome. Nonostante la non eccelsa risposta di vendite, i mancati sold out ai concerti e la defezione di Holdsworth, si pubblicano ancora due album con il suo clone e allievo, John Clark, detto “lo sconosciuto”.
“The Bruford Tapes", uscito a luglio del 1979, è l’occasione di ascoltarsi la band dal vivo per quelli che l’hanno erroneamente ignorata ai concerti, improvvisazioni comprese. Segue “Gradually Going Tornado”, prodotto verso la fine del 1979 dal prestigioso Ron Malo del Chess studio di Chicago, specializzato in classici del blues e del jazz. Nonostante il suo curriculum, Malo non riesce a dare all’album la stessa potenza dei primi due, pur con pregevoli prove come “Joe Frazier”. Il basso di Jeff Berlin è protagonista dell’album ma non abbastanza da farsi perdonare canzoni come “Age of Information".
Alla fine, facendosi eccessiva la pressione fiscale, i Bruford si dividono ed ognuno va per la sua strada. Il batterista, superati da poco i 30 anni e alle porte degli anni ’80 vede il suo progetto, per il quale aveva tanto faticato, naufragare senza salvezza, ed oltretutto è privo di altri ingaggi. In questo periodo collabora solo con Steve Howe per un brano nel suo secondo album uscito nel 1979.
Spesso le strade del destino sono oblique e quello che a prima vista sembra una condizione avversa si dimostra in seguito la condizione ideale per altri progetti ancora più affascinanti e inaspettati.
Parallelamente, in quegli anni e in situazioni lontane da Bruford, Robert Fripp terminava la sua “Strada per il 1981” e iniziava il Decline to 1984, che, con nuovi e potenti mezzi, tra i quali, non nuovo ma potente, il nostro Bill Bruford, si apprestava a ridar vita ai King Crimson.
La Band Disciplinata
Chi fosse capitato il 30 aprile 1981 a Bath, in quel buco di locale che è il Moles Club, si sarebbe unito ad un pubblico spaurito e incoriosito, raccoltosi ad assistere all’esibizione di quattro individui.
Due di questi sono volti ben noti e la sorpresa consiste nel rivederli insieme dopo svariati anni di “divorzio”. Sono il batterista ed il chitarrista dei potenti King Crimson, una delle glorie della prima metà degli anni ’70, scioltisi prima dell’avvento dei nefasti burattini di Malcom McLaren.
Robert Fripp è senza occhiali e sbarbato ma elegantemente vestito. Il batterista è seduto ad un drum set insolito e apparentemente raccogliticcio.
Gli altri due sono americani. Uno è alto con un fisico muscoloso ma asciutto. Completamente calvo e con un paio di baffoni. E’ chiaramente il bassista ma accanto a lui si trova anche un altro strumento, molto strano, tutto tastiera e con molte corde.
L’altro americano ha il viso simpatico e a giudicare dal microfono posto davanti ha il ruolo del cantante ma, inaudito, imbraccia una chitarra elettrica. Tutti tra il pubblico pensano: “un chitarrista suona sullo stesso palco con Robert Fripp ???? inaudito” (appunto).
In cartellone è indicato il breve ma enigmatico nome di Discipline e infatti la musica che cominciano a suonare non ha nulla a che vedere con i potenti e oscuri Crimson del '73 e '74 ma neanche con i precedenti del 1969 -1972. Si tratta di una musica tutta nuova che forse ha come altro punto in comune qualcosa di quel giovane gruppo americano new wave chiamato Talking Heads. Infatti, si chiedono, diverse persone tra il pubblico, il chitarrista non aveva suonato con loro l'anno scorso? E a guardarlo bene il bassista non l’avevamo già visto con Peter Gabriel?
La musica, con i suoi ritmi ripetitivi e africaneggianti in un contesto rock, rapisce e affascina il pubblico in sala (tra il quale anche Curt Smith dei futuri Tears For Fears).
Il brano, ossessivo e ritmato, termina con le grida nevrotiche del cantante.
Un applauso, e all’attacco del successivo brano tutti ammutoliscono.
RED?????
Con quasi 7 anni di ritardo, il 30 aprile 1981 verrà ricordata come la data della prima mondiale assoluta dal vivo di "Red".
L’album omonimo, uscito a dicembre dell’ormai lontano 1974, era l’ultimo atto di un gruppo che non esisteva più. Tutto il lato A del disco ancora oggi resta totalmente inedito.
"Red", "Fallen Angel" e "One More Nightmare", i brani che compongono il primo lato fino a quel momento erano completamente inediti dal vivo, con l’eccezione del refrein di "Fallen Angel" eseguito solo poche volte nel 1972 con Jimi Muir.
Il lato B comprendeva "Providence", una improvvisazione presa in un concerto tenutosi in quella città il 30 giugno 1974. L’altro pezzo, l’eccezionale "Starless" era nella versione in studio ma il brano era ben conosciuto da chi seguiva il loro tour de 1973-1974.
I Discipline, il cui nome per esigenze commerciali e pratiche muterà subito dopo nel più familiare King Crimson, comincia un tour nel 1981 e poi nel 1982 e pubblicherà due album, "Discipline" a settembre del 1981 e "Beat" a giugno del 1982. La formazione, una delle più compatte e affiatate mai esistite vede Robert Fripp, Bill Bruford, Adrian Belew e Tony Levin.
Robert Fripp facendo tesoro dei suoi studi con le discipline di Gurdjeff e di Ouspenky e avendo praticato la frippetronic fino al 1980, porta nuove idee alla band appena formatasi che subito le accoglie con entusiasmo. Musica ripetitiva sufi, in un contesto rock, la cui filosofia di base è quella di annullare il tempo e lo spazio, ripetendo una sequenza di note all’infinito, con lo scopo di raggiungere uno stato superiore dell’essere. Ma perché ciò accada bisogna che le note vengano suonate ogni volta come se fosse la prima.
Ci vuole ... disciplina.
Adrian Belew, porta una nuova chitarra, funambolica e piena di effetti che imitano anche i versi degli animali, porta la sua voce chiara ma nevrotica e tanta simpatia.
Tony Levin maestro di groove, e conosciuto da Fripp nel suo periodo con Peter Gabriel, si sposa perfettamente con il nuovo drum set di Bill Bruford, che si sbizzarrisce aggiungendo numerosi elementi raramente visti in un contesto rock accanto ad elementi più tradizionali ma sistemati e accordati "quasi a caso", aggiunge anche le sue nuove (e all'epoca immancabili) Simmons e toglie quasi del tutto i piatti, come fecero Steve Lillywhite e Peter Gabriel a Phil Collins (per una analisi più dettagliata del drum set degli inizi anni '80 vedi in appendice "I Ferri del Mestiere").
Nell’album del 1981, "Discipline", uno dei preferiti da Fripp, ci sono due brani manifesto di questi nuovi King Crimson, "Discipline" e "Indiscipline". Il primo è uno strumentale dove ciascuno dei musicisti imposta un proprio ritmo e lo segue ripetitivo per tutto il brano, con il risultato di avere un brano la cui “melodia”, è composta da 4 ritmi differenti.
L’altro. "Indiscipline" è come dice il titolo, l’esatto opposto.
Su un ostinato di Levin, Il byrniano Belew crea dei veri e propri mini drammi nevrotici e apparentemente senza una conseguenza logica per poi sfociare il tutto in un sfogo potente. L’effetto heavy metal dei King Crimson.
La versione in studio, congelata nel tempo, viene presto superata dalle numerose versioni dal vivo, dove davvero il brano diventa una arena per le improvvisazioni di Adrian Belew, vero protagonista del brano. "Indiscipline", nei concerti, era anche occasione per piccoli ed intelligenti assoli di Bruford, delle volte anche in duetto con il "batterista" Adrian Belew.
Contrariamente ai King Crimson del periodo '72 - '74, per questi, disciplinati, le improvvisazioni dal vivo non sono il punto forte, anche se si nota una migliore scioltezza, e di conseguenza un'accresciuta creatività spicciola dal vivo, passando dal 1981 al 1982 e poi ancora nel tour del 1984.
"Discipline" è forse l’album più sereno dei King Crimson e avendo il ruolo di inaugurare questa nuova fase presenta molto bene le peculiari caratteristiche musicali e le filosofie frippiane sottese, di questo periodo, con una lista di brani talmente tutti ben riusciti, presi singolarmente, da non riuscire però ad amalgamarsi come album.
Come album. O meglio come un unico concetto di poco più di 30 minuti, riusce meglio il successivo "Beat" del 1982.
"Neurotica", brano di apertura del secondo lato, racchiude le differenti e principali caratteristiche di questi King Crimson. Belew che canta delle nevrosi urbane, le scale intrecciate, difficili e pericolosissime, tra le due chitarre, Bruford che può dar sfogo alla sua voglia di jazz. Levin solido e sempre affidabile, intreccia linee melodiche con il suo stick.
Altra caratteristica interessante è che spesso sono gli strumenti ritmici a portare avanti la melodia, mentre le chitarre segnano il tempo, in un rovesciamento dei ruoli canonici.
Il brano di chiusura del primo lato, "Waiting Man" racchiude e sintetizza ancora meglio la cifra di questa formazione, dove Bruford usa principalmente il suo nuovo giocattolo: i famosi ( o famigerati) pad esagonali Simmons che nel bene o nel male hanno contribuito al suono della musica pop degli anni '80.
Il modello più usato da Bruford in questo periodo era la Simmons SDS5 che aveva un suono che oggi si può considerare molto datato. Nel 1984 si aggiornerà con le nuove esagonali SDS7. Il suono migliorerà sensibilmente ma non abbastanza per essere ancora fresco ai giorni nostri.
(nota: In Appendice, dopo "I Ferri del Mestiere", ragioniamo un poco sui pad esagonali Simmons)
A gennaio del 1983, finito il lungo e fortunato tour dell’anno precedente, i King Crimson si chiudono in studio per delle infruttuose ma interessanti session che molti anni più tardi verranno ripescati per due volumi della serie King Crimson Collector Club. Si tratta di frammenti. Brani in embrione apprezzabili come laboratori e idee per musica in costruzione.
In considerazione dell’esito negativo di queste prove i King Crimson nel 1983 si prendono una pausa. Bruford ne approfitta per alcune collaborazioni interessanti, al momento senza sbocco ma che a posteriori si riveleranno illuminanti e profetiche per quella che sarà la direzione del batterista negli anni a venire.
Partecipa alle session di un altro album della cantante canadese Annette Peacock, "Been In The Streets Too Long" e, insieme a Tony Levin a quelle di "Scenario", l’album del 1983 di Al Di Meola. Del brano "Calliope", Bruford, stando ai suoi racconti, non ne ha un ottimo ricordo. Di Meola ed il suo tecnico di fiducia si presentarono in ritardo e Levin, indispettito ma con la sua solita flemma, vinse una battaglia di principio con il talentuoso ma un poco aleatorio chitarrista.
La pur brevissima e poco felice collaborazione con Al Di Meola rappresenta per Bruford l'ntroduzionei al mondo del suo amato Jazz, anche se in realtà è jazz-rock/fusion.
Coincidentemente lo stesso anno, il 1983, esce anche "Music For Piano e Drums", dove il Piano è quello dell'altro ex YES, Patrick Moraz. Per la drums Bill Bruford abbandona (momentaneamente) le Simmons per un set ridotto ed interamente acustico, come anche acustico è il pianoforte del musicista svizzero.
L’album è Jazz, di un Jazz moderno e soffuso, interessante ma forse poco adatto allo stile duro di Moraz ma per Bruford, dopo anni a sperimentare, si tratta di un divertimento puro.
Il 27 marzo del 1984 esce il Terzo album di una Coppia Perfetta, ultimo di quella reincarnazione del Re Cremisi. Inizia anche il lungo tour mondiale che occuperà Bruford per quasi tutto l’anno.
Terminato .. sua maestà torna a riposare a a sognare nuove frontiere musicali per gli anni a venire ... dovremo aspettare ben 10 anni.
Bruford gira, rigira e torna al jazz.
Dopo l’esperienza para-jazz, il nostro Bruford viene coinvolto in diversi progetti che rendono bene la misura di quanto nel mondo del jazz ci si stesse cominciando ad accorgersi di lui, non soltanto come un batterista rock, si talentuoso, ma pur sempre “semplicemente” rock, ma anche come un jazzista alternativo e all'avanguardia.
Nel 1985 viene chiamato da Jamaladeen Tacuma a suonare in un brano nel suo secondo album, "Reinassence Man".
Jamaladeen Tacuma, al secolo Rudy McDaniel è un importante bassista di New York che per molti anni ha accompagnato il grande Ornette Coleman che pure suona in un pezzo dello stesso album. Il brano con il nostro si intitola "Sparkle".
Altre collaborazioni di Bruford per il 1985 sono con il vecchio compagno di "Canterbury" Dave Stewart che in coppia (musicale e civile) con Barbara Gaskin avevano piazzato nel 1981 una hit numero 1 in UK, "It’s My Party".
Un solo brano, "I’m Loosing You" dall’album "Up From The Dark", disco plasticoso anni '80 con le più tipiche e trite Simmons del periodo.
E poi il secondo album con Patrick Moraz, "Flags". Questa volta allargandosi a strumentazione elettrica ed elettronica. Accanto a pezzi insulsi come "Tempels Of Joy", ci si trovano ottimi brani di jazz come "Split Seconds" e "Infra Dig", oltre alla roachiana "The Drum Also Walts" di cui abbiamo giù parlato nella scorsa puntata..
Nel 1986 cominciano le collaborazioni giapponesi di Bruford. Con Akira Inoue per l’album "Tokyo Installation" e con la cantante pop funky, Anri, nell'album "Trouble in Paradise".
Ma il 1986 è soprattutto l’anno in cui Bill Bruford vara il suo secondo è più duraturo progetto personale.
Earthworks
Bill Bruford recluta alcuni giovani e talentuosi jazzisti inglesi. Il pianista, tastierista, suonatore di filicorno e tromba Django Bates e il sassofonista Iain Ballamy. Entrambi provenienti dai Loose Tubes, una big, big band, molto apprezzata dalla critica e da quel pubblico degli anni '80 in fuga da Duran Duran e Wham.
I due, insieme al bassista Mick Hutton si uniscono per un progetto che doveva portare il nome di Bellamy. Mancava un batterista e l’arrivo del più anziano e navigato Bruford cambia, un poco, le carte in tavola.
In effetti potremmo dire di essere stati gli altri a reclutare Bill Bruford.
La scena jazzistica britannica non è mai stata molto florida e per l’ex star "progressiva" degli anni '70 fu un vero colpo di fortuna riuscire a trovarne addirittura tre, e dei migliori, per un progetto che al suo debutto in Giappone si chiama ancora The Bill Bruford Band.
Subito dopo, ad ottobre del 1986 entrano in studio per lavorare al loro primo album. A quel punto il nome, scelto d’emergenza dopo averne scartati molti è Bruford’s Earthworks o semplicemente Earthworks.
L’album omonimo esce agli inizi del 1987 per i soliti della EG Records e vede alla produzione anche Dave Stewart che suona le tastiere in un paio di brani. Anche la moglie Barbara Gaskin presta i suoi vocalizzi per un brano.
La musica è una jazz fusion elettroacustica con molte contaminazioni folk e caratterizzato dalle nuove SDX Simmons che spingono le spettro sonoro e le capacità espressive di Bruford a nuovi livelli, anche per l’uso di collegamenti alle tastiere per programmare sequenze midi. Le melodie al sax di Bellamy rappresentano un polo compositivo molto prolifico per il gruppo.
In effetti con il poliedrico Django Bates è come se ci fossero due tastieristi e due fiatisti, oltre ad un batterista/percussionista e un bassista.
Il suono derivatone è unico, forse ancora acerbo, indicativo di una direzione tutta nuova ancora da esplorare. Suona jazz ma non è jazz, suona folk ma non è folk.
Un buon esempio è il brano "My Heart Declares A Holiday".
Ma ancora più significativa è la splendida "Making A Song And Dance".
Segue un lungo tour americano ed europeo con buon responso di pubblico e di vendite per il disco ..... commento ironico di Bill Bruford ..... "tutti quelli che non si erano ancora accorti che non era il nuovo disco prog rock con Bruford".
Il 1987 è un buon anno per il nostro e lo vede collaborare anche con il mago supremo delle chitarre infinite ed effettate ( che dite Robert Fripp??? ... no ... David Torn) per un progetto che lo rivede insieme al suo compagnone Tony Levin e il trombettista, tastierista, compositore di colonne sonore, Mark Isham.
L’album "Cloud About Mercury" è molto interessante e preannuncia anche un proseguimento inaspettato dieci anni dopo.
Bruford ha modo di dimostrare tutto il potenziale delle SDX Simmons in tour con David Torn. Esiste un video dalla data di Francoforte del 7 febbraio 1987 dove si può vedere un assolo di Bruford … di tastiere … percuotendo i pad esagonali.
Gli impegni per 1987 si accavallano. Bellamy e Bates vengono richiamati per i Loose Tubes mentre Bruford viene coinvolto nell’interessante progetto della prestigiosa New Percussion Group Of Amsterdam per il brano "Go Between" che dà il titolo all’album pubblicato dalla EG records. Si tratta di una composizione di 14 minuti molto interessante.
Continuano anche le collaborazioni giapponesi, questa volta con il famoso chitarrista Kazumi Watanabe. L’album "The Spice Of Life" vede coinvolti (a sorta di proseguimento dei vecchi Bruford), Watanabe, Bruford e Jeff Berlin in un power trio fusion pieno di effetti speciali ma forse un poco freddo.
L’esperienza comunque verrà ripetuta nel 1988 con l’album "The Spice Of Life Too", questa volta si aggiunge il tastierista italo scozzese Peter John Vettese (si, quello dei Jethro Tull) per un album che aggiusta il tiro. Più raffinato e riflessivo.
In estate gli Earthworks si riuniscono per un nuovo tour ma subito sorgono i problemi.
La ragazza di Iain Bellamy è malata terminale di cancro e la pressione emotiva getta benzina sul fuoco già creatosi tra il sassofonista e il bassista Mike Hutton culminando in un pesante litigio dove arrivano alle mani.
Bellamy se ne torna in Inghilterra per stare vicino alla ragazza per le ultime settimane della sua vita. Bruford è costretto ad annullare molte date del tour americano e gli ultimi concerti vedono gli Earthworks ridotti a trio con Django Bates che rifà al corno tenore le parti di Bellamy.
Passato il lutto Bellamy ad autunno del 1988 ritorna portandosi appresso il nuovo bassista Tim Harries che aveva suonato anche con gli Steeleye Span.
Harries in luogo del contrabbasso di Hutton, suona il basso elettrico e con uno stile più funky. Aggiungendo così più varietà alla musica.
A novembre viene preparato il secondo album degli Earthworks, "DIG?" (col punto interrogativo). Album che poi esce agli inizi del 1989.
Questo nuovo lavoro, che non vede più Dave Stewart alla produzione, continua il discorso interrotto con il precedente ma spostando il loro particolare jazz folk ad altre aree geografiche. La musica è più rilassata e coerente nonostante la recente tragedia che ha colpito Bellamy e il risultato si vede in pezzi come "Stromboli Kicks".
C’è anche la voglia di divertirsi con cover molto rimaneggiate come in "Downtown", un vecchio successo di Tony Hatch risalente al 1964, stravolto dal felice riarrangiamento ad opera della premiata ditta Bellamy/Bates.
Nonostante che il risultato artistico soddisfi tutti, componenti del gruppo compresi, l’album "DIG?" vende meno del precedente.
"I fan del prog che per errore hanno acquistato il primo album si sono ben guardati dal farsi rivedere per quest’altro", commenta sardonico il leader.
Questo, più un evento inaspettato, che tiene impegnato Bruford dal 1989 al 1991, costringerà gli Earthworks ad una pausa, anche se non gli impedirà di affrontare un piccolo tour a giugno del 1989.
YES or NOT ... i ritorni inevitabili.
Succede che un bel giorno Jon Anderson va a trovare a casa il nostro Bill. Fra una sorsata e l’altra di tè Anderson gli propone di suonare in un paio di brani del nuovo materiale che sta preparando.
"Perché no?", gli risponde l’incauto ex compagno degli YES.
La trappola è pronta.
Jon Anderson veniva da un periodo anomalo per lui.
Dopo il successo con l’arcifamoso album "90125" degli YES Occidentali, detti anche la Travor Rabin Band, contenente l’ancora più arcifamosa "Owner of Lonely Heart", il nostro ex calciatore del Lancashire si trovava semplice cantante in un gruppo nel quale un tempo era leader. Dopo un altro album gli YES occidentali, Rabin, Squire, White e ogni tanto Keye, si trovavano in una fase di stallo e per Anderson era l’occasione per dedicarsi a nuove strade ...... nuove????
Dopo qualche giorno Bruford si vede recapitare un biglietto aereo per l’isola caraibica di Monserrat. All’appuntamento prefissato, al momento di presentarsi al check in, la sua prima esclamazione è una cosa del tipo: “oh no, non ancora”. In fila per l’imbarco ci ritrova sue due vecchie conoscenze, Rick Wakeman e Steve Howe.
La trappola è scattata.
L’intenzione di Jon Anderson era di riformare gli YES originali, quelli dei tempi d’oro anche se privi di Chris Squire, il quale nel frattempo era intento a mettergli i bastoni fra le ruote a colpi di avvocati per impedirgli di usare in qualsiasi modo il nome (anche la parola .. se necessario), YES.
Vengono scelti diversi nomi alternativi ma alla fine si opta per il notarile Anderson, Wakeman, Bruford & Howe. Nome che, in considerazione degli eventi prossimi futuri si scopre ben azzeccato.
Bruford e ben felice che non partecipi il "bradipo" e in alternativa propone, con accettazione degli altri tre un nome ed un cognome alternativi. Il nome è quello di Tony, il cognome è quello di Levin.
Così, nella prima metà del 1989, fra una partita di cricket e l’altra, vede la luce (quella del sole di Monserrat), l’album che verrà pubblicato a giugno dello stesso anno.
Forte della grafica di Roger Dean (chi scrive lo considera un membro storico effettivo degli YES), l’album omonimo è caratterizzato da momenti deliziosi ad altri decisamente deprecabili.
Con il mixer decisamente propenso verso il tastierista a scapito del chitarrista, Bruford riesce a ritagliarsi un suo spazio, coadiuvato dal prode scudiero Levin. Come si può sentire da brani come "Brother Of Mine" e "Birthright" il lavoro di Bruford con le Simmons, le ultimissime SDX, si fa più percussivo, trovando finalmente la dimensione adatta per usarle.
Bruford aveva già cambiato stile tre volte, passando dagli YES ai King Crimson nel 1972, l'aveva cambiato di nuovo nel suo periodo "Canterbury" alla fine degli anni '70 e un ultimo cambiamento c’era stato con i Discipline nella prima metà degli anni '80. Capito finalmente come domare la bestia esagonale e ben conscio che battere su dei pad non è la stessa cosa che battere su dei fusti, d’ora in avanti l’obiettivo è quello di applicare il tutto ai diversi contesti musicali in cui si muove. Resta solo il problema dell’affidabilità tecnica dell’elettronica applicata.
Quella non la risolverà mai, anzi gli creerà sempre più problemi, come vedremo in seguito.
A luglio del 1989, Anderson, Wakeman, Bruford & Howe ... e Levin ... e Dean .. partono per il lungo tour mondiale che li terrà impegnati fino a marzo dell’anno successivo.
Il tour, sottotitolato "An Evening Of Yes Music Plus", in compromesso alle azioni legali, è occasione per ciascuno dei quattro di fare inserire momenti "solisti".
Nel 1993, ad opera di alcun fan e con la collaborazione dello stesso Roger Dean, si realizza il cofanetto con il titolo del tour "An Evening Of Yes Music Plus" contenente il concerto del 9 settembre 1989 (con Jeff Berlin al posto di Levin che era malato) in versione audio doppio CD e il filmato completo, che comincia dai camerini con la presentazione da parte di Anderson, in VHS (che in tempi più recenti è stato riversato in DVD). In quel video si possono vedere prima Anderson, poi Howe e poi Wakeman, entrare a turno per fare le "loro cose", per poi partire tutti insieme con il primo pezzo corale, "Long Distance Runaround", classico di "Fragile" del 1971. Bill Bruford entra alla sua maniera, con il tamburello in mezzo al palco e nel vivo del pezzo, mentre gli altri suonano, Bruford si avvicina al suo maestoso drum set e accompagna il gruppo. Niente assolo per Bill?
Gli altri si fermano e comincia l'assolo di pura batteria Simmons, ancora oggi rimasto un punto fermo per la storia delle batterie elettroniche. La bestia è domata (quasi). L'assolo lascia il posto all'intro della bella "Birthright" dove il lavoro percussivo di Bruford raggiunge momenti sublimi nel brano più gabrieliano degli YES ... ehmm pardon, di Anderson, Bruford, Wakeman & Howe.
Gli altri si fermano e comincia l'assolo di pura batteria Simmons, ancora oggi rimasto un punto fermo per la storia delle batterie elettroniche. La bestia è domata (quasi). L'assolo lascia il posto all'intro della bella "Birthright" dove il lavoro percussivo di Bruford raggiunge momenti sublimi nel brano più gabrieliano degli YES ... ehmm pardon, di Anderson, Bruford, Wakeman & Howe.
Un altro assolo che veniva eseguito nel tour del 1989, meno noto ma altrettanto interessante, si intitola "Rytmn Duet". Il "duet" è con Tony Levin e purtroppo, mancando quest'ultimo, non si trova nel live ufficializzato di cui abbiamo parlato poco fa.
L’album di Anderson Bruford Wakeman & Howe vende 750.000 copie. Il tour si assesta sulla media dei 10.000 biglietti strappati a serata. Con punte di 20/21.000 per le date di New York. Sufficienti per convincere il quartetto ... più Levin, a fare un altro album le cui prove e registrazioni iniziano in Francia nel 1990.
Nonostante ciò Bruford trova anche il tempo per partecipare alle session di "Door X" di David Torn.
Nonostante ciò Bruford trova anche il tempo per partecipare alle session di "Door X" di David Torn.
Tornando in Francia, quelle che erano iniziate come session felici,
Per loro 750.000 copie erano insufficienti, questo, più le pressioni degli avvocati degli YES californiani, porta ai discografici l’idea di mettere insieme i due gruppi per un unico album che uscirà il 30 aprile del 1991.
Il titolo scelto è "Union", (o per alcuni, come Wakeman, Onion, cipolla, perché lo faceva piangere).
Forte di un bombardamento pubblicitario internazionale e della grafica di Roger Dean che per l’occasione inventa un nuovo logo (bruttino) da affiancare a quello classico e immortale, il risultato è la dimostrazione di come i dischi andrebbero fati fare ai musicisti e non ai discografici .. ma nemmeno .. agli avvocati.
L’album conterrebbe (perché il materiale originale è piuttosto diverso), il secondo album di ABWH più Levin, 4 brani della Travor Rabin Band (non necessariamente i più fiacchi), un brano acustico di Steve Howe, ed una micro traccia, "Evensong" di 52 secondi ad opera della sessione ritmica dei King Crimson, un piccolo gioiellino che anticipa, tra l'altro, certe cose che la premiata ditta Bruford/Levin realizzerà in futuro, oltre ad essere uno dei momenti più memorabili dell'intero album... ah ... alla fine "Union" venderà .... 750.000 copie.
Presto, e prima che il CD venga distribuito. Bruford, Wakeman e Howe scoprono che il loro materiale è stato pesantemente rimaneggiato e soprattutto nel caso delle tastiere, suonato da numerosi sessionman, modificando di molto le composizioni originali. Per tre virtuosi come i soprannominati, che godono anche di numeroso seguito personale, è un'onta difficilmente lavabile.
Ad aggiungere altre umiliazioni alle umiliazioni è il lunghissimo, miliardario, pomposissimo tour mondiale dalla primavera del 1991 fino all’inverno del 1992. Dove 8 persone sul palco si sbattono e agitano badando più a che nessuno dei loro corrispettivi invada il loro orticello, che a suonare insieme per un pubblico pagante. Tipo Howe che lancia sguardi laser a Rabin.
Unico punto di contatto interessante è quello tra Alan White e Bill Bruford (contatto tra un grande batterista e un fuoriclasse) con il primo che dà il tempo e Bruford che ci ricama sopra. Per l’occasione c’è un nuovo assolo fatto dai due. Potente ma piuttosto ripetitivo .. e non in senso sufi.
Nessun problema per Bruford, in passato era lui a dare il tempo mentre Jimie Muir "ricamava" (e presto tornerà a duettare in un "doppio trio") se non che, umiliazione all’umiliazione dell’umiliazione, arriva la sera del 15 luglio 1991 davanti alle 20.000 persone sedute al Madison Square Garden. Molti di loro sono venuti apposta per sentire e vedere all’opera il leggendario set di pad Simmons da 30.000 dollari. Pochi minuti prima di rientrare per cominciare l’assolo, il tecnico delle Simmons comunica che ci sono problemi ai computer.
"Problemi tecnici? Che problemi tecnici?" chiede Bruford.
"La batteria elettronica non funziona", risponde il tecnico.
"Puoi ripetere per favore????"
E fu così che Bruford nella serata più importante del tour dovette meravigliare il pubblico con un rullante e due piatti eseguendo in modo esagerato il vecchio esercizio, che ogni studente di batteria conosce, chiamato "The Downfall Of Paris".
Finito il circo con gli YES, Bruford dichiarirà in seguito: "Di tutta l’esperienza ricordo solo una volta che per una frazione di secondo provai un brivido mentre facevamo Birthright".
Superfluo aggiungere altro.
Tutti i Paradisi terminano ... e io me ne torno a casetta.
Nel 1992 Bruford suona in ben 8 brani su 10 del terzo (e primo di lunghissimo corso) album di Steve Howe, "Turbolance" ma tutta la sua attenzione torna ovviamente agli Earthworks.
Continuano i concerti in tutto il mondo, comprese partecipazioni a importanti festival internazionali di jazz ed esce il terzo album, "All Heaven Broke Loose".
La formazione è la stessa del precedente e nonostante l’abbandono degli aspetti etnici per un jazz sperimentale più canonico (ammesso che sperimentale e canonico possano stare nella stessa frase), l’album viene acclamato come il più riuscito della prima versione del gruppo.
Per chi lamenta a Bruford poco lavoro sui pedali la risposta è il brano "Nerve".
Nel 1993 Bruford resta coinvolto con due uscite discografiche che hanno ancora a che fare con gli YES.
Esce l’ennesimo album di Rick Wakeman ... "The Classical Connection" parte 2.
Bruford non ci partecipa alle session ma a sorpresa il nostro Riccardone infila nella scaletta un breve brano. "Le Farandole" di Bizet, registrato durante le session di "Fragile" e rimasto nel cassetto per 22 anni. Ci suonano ovviamente oltre al tastierista, anche Howe, Squire e il nostro Bruford.
E adesso che c'entra questo distinto signore qui accanto?
Storico componente dei Jethro Tull, arrangiatore, direttore d’orchestra e compositore, David Palmer (all’epoca ancora David), prosegue la sua serie di classici prog anni '70 in versione sinfonica con a turno la London Simphony Orchestra e la Royal Philarmonic Orchesta. Dopo i Jethro Tull, i Genesis e i Pink Floyd ora è il momento degli YES.
Tra giugno e luglio del 1993 viene provato e registrato con la Royal Philarmonic l’album che vede Steve Howe, Jon Anderson occasionalmente, Bill Bruford e il suo ormai ex bassista Tim Harries in tutti i brani.
Palmer arrangia, conduce l’orchestra e occasionalmente suona le tastiere e il Sig. Alan Parsons è seduto al banco mixer.
La scaletta comprende i più classici dei classici degli YES, compresa "Owner of A Lonely Heart" (e meno male che Steve Howe aveva detto che con quel brano non voleva averci nulla a che fare).
Tra i vari arrangiamenti orchestrali, tutti abbastanza riusciti, frizzante e particolarmente ben riuscita è la versione sinfonica di "Heart Of The Sunrise".
L'inizio del 1993 vede gli Earthworks ancora in tour ma nonostante il buon responso di pubblico, le scarse vendite dei dischi crea qualche problema con la EG records, l’etichetta, ormai "Ex G" records dei King Crimson ma ancora per qualche tempo di Bill Bruford. Si tratta di un primo passo che porterà il gruppo nel corso dell’anno allo scioglimento. Altri fattori consistono sia in Django Bates che comincia ad avere una sua carriera personale, sia come dischi che come insegnante di musica e nell’insoddisfazione crescente di Bruford per la scarsa affidabilità delle Simmons che lo porterà a dire "Mai più".
Ma caro il nostro William Scott, mai dire mai, il 1994 è alle porte ed un dormiente sovrano si appresta a risvegliarsi.
La seconda parte dello Speciale dedicato a Bill Bruford termina qui. Appuntamento alla prossima puntata .... ci sono le appendici ....
Nessun problema per Bruford, in passato era lui a dare il tempo mentre Jimie Muir "ricamava" (e presto tornerà a duettare in un "doppio trio") se non che, umiliazione all’umiliazione dell’umiliazione, arriva la sera del 15 luglio 1991 davanti alle 20.000 persone sedute al Madison Square Garden. Molti di loro sono venuti apposta per sentire e vedere all’opera il leggendario set di pad Simmons da 30.000 dollari. Pochi minuti prima di rientrare per cominciare l’assolo, il tecnico delle Simmons comunica che ci sono problemi ai computer.
"La batteria elettronica non funziona", risponde il tecnico.
"Puoi ripetere per favore????"
E fu così che Bruford nella serata più importante del tour dovette meravigliare il pubblico con un rullante e due piatti eseguendo in modo esagerato il vecchio esercizio, che ogni studente di batteria conosce, chiamato "The Downfall Of Paris".
Superfluo aggiungere altro.
Tutti i Paradisi terminano ... e io me ne torno a casetta.
Nel 1992 Bruford suona in ben 8 brani su 10 del terzo (e primo di lunghissimo corso) album di Steve Howe, "Turbolance" ma tutta la sua attenzione torna ovviamente agli Earthworks.
Continuano i concerti in tutto il mondo, comprese partecipazioni a importanti festival internazionali di jazz ed esce il terzo album, "All Heaven Broke Loose".
La formazione è la stessa del precedente e nonostante l’abbandono degli aspetti etnici per un jazz sperimentale più canonico (ammesso che sperimentale e canonico possano stare nella stessa frase), l’album viene acclamato come il più riuscito della prima versione del gruppo.
La formazione è la stessa del precedente e nonostante l’abbandono degli aspetti etnici per un jazz sperimentale più canonico (ammesso che sperimentale e canonico possano stare nella stessa frase), l’album viene acclamato come il più riuscito della prima versione del gruppo.
Per chi lamenta a Bruford poco lavoro sui pedali la risposta è il brano "Nerve".
Nel 1993 Bruford resta coinvolto con due uscite discografiche che hanno ancora a che fare con gli YES.
Esce l’ennesimo album di Rick Wakeman ... "The Classical Connection" parte 2.
Bruford non ci partecipa alle session ma a sorpresa il nostro Riccardone infila nella scaletta un breve brano. "Le Farandole" di Bizet, registrato durante le session di "Fragile" e rimasto nel cassetto per 22 anni. Ci suonano ovviamente oltre al tastierista, anche Howe, Squire e il nostro Bruford.
E adesso che c'entra questo distinto signore qui accanto?
Storico componente dei Jethro Tull, arrangiatore, direttore d’orchestra e compositore, David Palmer (all’epoca ancora David), prosegue la sua serie di classici prog anni '70 in versione sinfonica con a turno la London Simphony Orchestra e la Royal Philarmonic Orchesta. Dopo i Jethro Tull, i Genesis e i Pink Floyd ora è il momento degli YES.
Tra giugno e luglio del 1993 viene provato e registrato con la Royal Philarmonic l’album che vede Steve Howe, Jon Anderson occasionalmente, Bill Bruford e il suo ormai ex bassista Tim Harries in tutti i brani.
Palmer arrangia, conduce l’orchestra e occasionalmente suona le tastiere e il Sig. Alan Parsons è seduto al banco mixer.
La scaletta comprende i più classici dei classici degli YES, compresa "Owner of A Lonely Heart" (e meno male che Steve Howe aveva detto che con quel brano non voleva averci nulla a che fare).
Tra i vari arrangiamenti orchestrali, tutti abbastanza riusciti, frizzante e particolarmente ben riuscita è la versione sinfonica di "Heart Of The Sunrise".
Ma caro il nostro William Scott, mai dire mai, il 1994 è alle porte ed un dormiente sovrano si appresta a risvegliarsi.
La seconda parte dello Speciale dedicato a Bill Bruford termina qui. Appuntamento alla prossima puntata .... ci sono le appendici ....
APPENDICE "A"
I FERRI DEL MESTIERE TERZA PARTE, 1981-1983
Le gloriose Ludwig vengono messe da parte per le giapponesi Tama che insieme alle svizzera Paiste per i piatti formeranno l’accoppiata più nota usta da Bruford d’ora in avanti, quella di cui esistono più testimonianze visive per l’accresciuta tecnologia nel settore e quindi quella più nota al grande pubblico .... ammesso che il grande pubblico faccia caso a queste cose.
E’ la Tama Super Star a fare da protagonista in varie dimensioni e colori.
Nel biennio 81- 82 un rullante in metallo da 14 pollici x 6 ogni tanto alternato con uno in betulla di poco più basso.
La grancassa da 22 pollici per 14 e il timpano da 18.
Resta un solo rototom, eredità degli anni precedenti da 14 pollici.
I piatti come detto sono Paist, come ormai da molto tempo. Un raid pesante e un Crash entrambi da 18 pollici ed entrambi a destra. Al posto canonico del crash troviamo un china da 20 pollici. Ci sono comunque ancora 2 Splash Zildjan da 12 pollici.
La parte acustica è integrata da ben 5 fusti stretti e lunghi denominati dragon drums e posti davanti fra i china e il ride.
Le pelli sono Remo Ambassador.
Questo curioso e vario drum set si può ascoltare nelle registrazioni dei King Crimson del periodo 1981 - 1984 soprattutto nei concerti.
Altro cambiamento radicale che resterà costante per il futuro è il cambio delle bacchette.
Dalle Ludwig alle strafamose Pro mark ... sempre le 5a.
Questo per quanto riguarda la parte acustica.
Infatti, ed è forse il più importante cambiamento di quel periodo, sono arrivate le Simmons: i pad elettronici esagonali che circonderanno il batterista e la sua musica per moltissimo tempo diventando praticamente la sua personale scenografia sul palco. In vari modelli e colori.
Tra il 1981 e il 1982, integrerà al normale set acustico appena descritto, 6 pad Simmons modello SDS5. 3 a sinistra fra il rullante e il china. 2 a destra del rototom superstite ed un ultimo pad a destra del timpano.
A tutto questo castello si devono aggiungere altre percussioni in numero sparso e le centraline elettroniche dei pad.
Per Bruford d’ora in avanti sarà sempre più difficile uscire ed entrare dal suo drum set.
Per le collaborazioni del 1983 il set acustico si compone: sempre Tama superstar, rullante da 14 pollici in ottone, un tom da 12 pollici per 9, un timpano da 16 x 16.
La grancassa aumenta per suonare jazz a 22 pollici per 14.
I piatti sono composti da charleston da 14 pollici serie 2000, crash da 16 pollici sempre serie 2000, ogni tanto alternato con un serie 602. I ride sono due: uno da 18 e un altro da 20. Questa soluzione per i ride da questo momento Bruford la terrà per molti anni, spesso con il ride da 20 pollici tenuto più indietro, alto e quasi orizzontale.
Ovviamente sono tutti Paiste.
Un altro elemento aggiunto è un set di 4 piccoli fusti da 4 pollici tenuti a destra del tom, sulla cassa, nel punto dove per il tour dei King Crimson si trovavano i 5 dragons drums.
Il drum set usato per il tour del 1984 è come quello del tour del 1982 con le seguenti eccezioni: via i due splash da 12 pollici. I 4 fusti da 6 pollici al posto dei dragons e le Simmons sono le SDS7.
A coronare (letteralmente) il tutto, altri 7 esagonali Simmons tenuti orizzontali su un supporto dietro al seggiolino e che Bruford suonava in piedi in particolari momenti del concerto.
I FERRI DEL MESTIERE 1985-1993
Il primo drum set post King Crimson vede un aumento dei piatti e una nuova sistemazione delle Simmons che restano ancora le SD9. Scompare anche l’ultimo rototom e i 4 piccoli fustini poggiati sulla grancassa.
La parte acustica si compone della Tama rossa di Bruford, ormai leggendaria.
Grancassa da 22 pollici per 16. Un tom poggiato sopra da 12 x 10. Un timpano da 16 pollici.
Torna il crash, da 16 pollici nella sua locazione classica, a destra ma se ne aggiunge un altro da ben 18 pollici a sinistra, più lontano. Accanto il ride da 18, fedele compagno di tanti accompagnamenti e il china da 16. Torna un vero charleston da 14 pollici. Torna perché nel 1984 era stato sostituito da un esagonale ... sigh.
Ed arriviamo ai pad Simmons. Nel 1984 erano 6, adesso sono 7. Uno posto sopra il rullante Tama Steel a sostituirlo (ma quando mai?) ogni tanto, semovibile, ma che secondo me impicciava non poco.
Un altro posto sopra il charleston un poco più indietro e un altro ancora tra questo e il crash. A sinistra abbiamo gli altri 4 pad posti a ventaglio partendo dalla cassa per arrivare oltre il timpano, che viene coperto così per una parte della sua superficie. Evidentemente in quel periodo 85-86 a Bruford gli piaceva complicarsi la vita.
Tra il 1987 fino al 1991, il grande ritorno agli YES, è l’apoteosi delle esagonali Simmons. Siamo arrivati a 8. La SDX, La super Ferrari delle Simmons.
5 pad sono messi in fila orizzontale rispetto al seggiolino. Quello più a sinistra a coprire a metà la superficie del charleston. Il secondo e terzo successivi a coprirne un altro (quindi il sesto), quello semovibile che a sua volta copre il rullante. Un altro ancora a uso timpano, messo a destra della cassa davanti al suonatore. Ovviamente tutti sono collegati alla centralina elettronica per produrre altri suoni nei momenti percussivi dei brani.
Un momento i conti non tornano .... ne ho nominati 7 e avevo detto 8.
L’ottavo pad Simmons è la grancassa.
Dobbiamo aggiungere altri 9 pad posti in verticale dietro al batterista.
Totale: 17 pad Simmons .... 17, non 16 o 18, proprio 17 .. e poi si stupiva che gli si rompeva spesso.
Alla povera batteria, quella vera, con un solo rullante Tama da 14 x 6 non resta che dichiarare la resa.
Le uniche due pelli cambiano in Evans.
I piatti sono un charleston da 14 (almeno questo c’è), due crash da 16 e da 18, un bel ride pesante da 20 pollici, un china pure bello grande da 18 e, tanto per abbondare, un gong da 24 pollici. Tutto Paiste. Innovazione si, ma i veri cymbal restano insostituibili, ancora oggi nel XXI secolo.
Non è finita qui. Bill Bruford sarebbe anche stanco della batteria elettronica e dei suoi continui problemi ma forte di un intero set tutto gratis gentilmente offerto dalla casa madre se ne va in giro con 10 pad esagonali togliendo però la struttura posteriore. C’è un limite a tutto.
I 10 SDX sono posti a mezzaluna, ed a ventaglio uno su l’altro da sinistra a destra, coprendo la batteria acustica che pur è aumentata e migliorata. Si, c’è ancora l’ormai famigerato pad semovibile, rivale del vero rullante.
La Tama è la nuova Artstar 2. Tutta nera.
Rullante in legno da 14 x 6. Grancassa (è tornata) da 22 x 16, tom da 12 x 10 e timpano da 16.
I Paiste sono esattamente quelli descritti per il periodo 1987-91.
Le pelli tutte Evans in vari modelli e le bacchette Pro mark cambiano dalle storiche 5a alle nuove SD9 e SD1, di grande diametro, con cono lungo per rimbalzo veloce. Ancora più leggere delle 5a.
APPENDICE "B"
APPENDICE "A"
I FERRI DEL MESTIERE TERZA PARTE, 1981-1983Resta un solo rototom, eredità degli anni precedenti da 14 pollici.
Questo per quanto riguarda la parte acustica.
Infatti, ed è forse il più importante cambiamento di quel periodo, sono arrivate le Simmons: i pad elettronici esagonali che circonderanno il batterista e la sua musica per moltissimo tempo diventando praticamente la sua personale scenografia sul palco. In vari modelli e colori. Per Bruford d’ora in avanti sarà sempre più difficile uscire ed entrare dal suo drum set.
I FERRI DEL MESTIERE 1985-1993
Il primo drum set post King Crimson vede un aumento dei piatti e una nuova sistemazione delle Simmons che restano ancora le SD9. Scompare anche l’ultimo rototom e i 4 piccoli fustini poggiati sulla grancassa.
La parte acustica si compone della Tama rossa di Bruford, ormai leggendaria.
Grancassa da 22 pollici per 16. Un tom poggiato sopra da 12 x 10. Un timpano da 16 pollici.
Grancassa da 22 pollici per 16. Un tom poggiato sopra da 12 x 10. Un timpano da 16 pollici.
Torna il crash, da 16 pollici nella sua locazione classica, a destra ma se ne aggiunge un altro da ben 18 pollici a sinistra, più lontano. Accanto il ride da 18, fedele compagno di tanti accompagnamenti e il china da 16. Torna un vero charleston da 14 pollici. Torna perché nel 1984 era stato sostituito da un esagonale ... sigh.
Ed arriviamo ai pad Simmons. Nel 1984 erano 6, adesso sono 7. Uno posto sopra il rullante Tama Steel a sostituirlo (ma quando mai?) ogni tanto, semovibile, ma che secondo me impicciava non poco.
Un altro posto sopra il charleston un poco più indietro e un altro ancora tra questo e il crash. A sinistra abbiamo gli altri 4 pad posti a ventaglio partendo dalla cassa per arrivare oltre il timpano, che viene coperto così per una parte della sua superficie. Evidentemente in quel periodo 85-86 a Bruford gli piaceva complicarsi la vita.
Un altro posto sopra il charleston un poco più indietro e un altro ancora tra questo e il crash. A sinistra abbiamo gli altri 4 pad posti a ventaglio partendo dalla cassa per arrivare oltre il timpano, che viene coperto così per una parte della sua superficie. Evidentemente in quel periodo 85-86 a Bruford gli piaceva complicarsi la vita.
Tra il 1987 fino al 1991, il grande ritorno agli YES, è l’apoteosi delle esagonali Simmons. Siamo arrivati a 8. La SDX, La super Ferrari delle Simmons.
5 pad sono messi in fila orizzontale rispetto al seggiolino. Quello più a sinistra a coprire a metà la superficie del charleston. Il secondo e terzo successivi a coprirne un altro (quindi il sesto), quello semovibile che a sua volta copre il rullante. Un altro ancora a uso timpano, messo a destra della cassa davanti al suonatore. Ovviamente tutti sono collegati alla centralina elettronica per produrre altri suoni nei momenti percussivi dei brani.
Un momento i conti non tornano .... ne ho nominati 7 e avevo detto 8.
L’ottavo pad Simmons è la grancassa.
Dobbiamo aggiungere altri 9 pad posti in verticale dietro al batterista.
Totale: 17 pad Simmons .... 17, non 16 o 18, proprio 17 .. e poi si stupiva che gli si rompeva spesso.
Alla povera batteria, quella vera, con un solo rullante Tama da 14 x 6 non resta che dichiarare la resa.
Le uniche due pelli cambiano in Evans.
I piatti sono un charleston da 14 (almeno questo c’è), due crash da 16 e da 18, un bel ride pesante da 20 pollici, un china pure bello grande da 18 e, tanto per abbondare, un gong da 24 pollici. Tutto Paiste. Innovazione si, ma i veri cymbal restano insostituibili, ancora oggi nel XXI secolo.
I piatti sono un charleston da 14 (almeno questo c’è), due crash da 16 e da 18, un bel ride pesante da 20 pollici, un china pure bello grande da 18 e, tanto per abbondare, un gong da 24 pollici. Tutto Paiste. Innovazione si, ma i veri cymbal restano insostituibili, ancora oggi nel XXI secolo.
Non è finita qui. Bill Bruford sarebbe anche stanco della batteria elettronica e dei suoi continui problemi ma forte di un intero set tutto gratis gentilmente offerto dalla casa madre se ne va in giro con 10 pad esagonali togliendo però la struttura posteriore. C’è un limite a tutto.
I 10 SDX sono posti a mezzaluna, ed a ventaglio uno su l’altro da sinistra a destra, coprendo la batteria acustica che pur è aumentata e migliorata. Si, c’è ancora l’ormai famigerato pad semovibile, rivale del vero rullante.
La Tama è la nuova Artstar 2. Tutta nera.
Rullante in legno da 14 x 6. Grancassa (è tornata) da 22 x 16, tom da 12 x 10 e timpano da 16.
I Paiste sono esattamente quelli descritti per il periodo 1987-91.
Le pelli tutte Evans in vari modelli e le bacchette Pro mark cambiano dalle storiche 5a alle nuove SD9 e SD1, di grande diametro, con cono lungo per rimbalzo veloce. Ancora più leggere delle 5a.
L'Esagono di Simmons
La creazione del geniale ingegnere inglese Dave Simmons (un poco meno geniale negli affari), forse era troppo avanti per la sua epoca. Nel senso che la tecnologia di quel periodo non permetteva comunque un prodotto all’altezza degli standard necessari per un impiego professionale. Fin dalla loro creazione nel 1978, i pad, con la loro caratteristica forma esagonale e il loro suono di bottiglie, vengono comunque adottati subito dall’industria discografica: si possono ascoltare e vedere in numerosi hit dei gruppi per ragazzini che furoreggiavano all’epoca .
SImmons SD5 |
Molti anni dopo, fuori dai doveri commerciali ne dirà: "erano praticamente insuonabili".
Ma in altre sedi, già all'epoca del loro utilizzo, il nostro riccioluto batterista ammetteva che per poterle utilizzare fu costretto ad inventarsi tutto un altro stile di drumming. Chiunque abbia soltanto provato ad "assaggiarle", si è potuto rendere conto fin da subito che l'approccio agli "esagonali" non può avvenire con una impostazione classica, specie quella rhythm and blues. Si poteva utilizzarle come aggiunta di percussioni economiche (all'epoca certamente no) e di più facile trasporto, da aggiungere al drum set acustico tradizionale. Il jazz è uno stile che forse si adatta meglio del blues rock ai pad ma appunto, si "adatta", e l'adattamento di Bruford lo porterà ad inventarsi gli Earthworks.
Simmons SDX |
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