A PASSION PLAY (APP), l'album che forse di più divide i fan dei Jethro Tull. Uno dei rari dischi del gruppo la cui copertina non mostra la facciona (fotografata o disegnata) di Ian Anderson. Uno dei capolavori del cosiddetto progressive e ancora oggi oggetto di esamine e dibattiti.
Per celebrare i rigogliosi, travagliati e ormai superati, 40 anni (ormai 43) di questo splendido lavoro che trascende i generi, riesumo dall’archivio una serie di articoli scritti all'epoca del primo anniversario e qui per la prima volta riuniti per un unico speciale dedicato.
Nel primo articolo, questo che state leggendo, introduco l'album APP trattando del suo peculiare "concept" oltre a contestualizzarlo nell'epoca della sua uscita discografica nel 1973.
Nel secondo articolo analizzo i contenuti del meraviglioso cofanetto "An Extended Performance" uscito nel 2013, per i suoi 40 anni e Jacopo Muneratti continua l'analisi tecnica delle tracce contenute nel cofanetto e i suoi pensieri sul grande lavoro di Steven Wilson. Nell'articolo troverete anche un link al blog di Jacopo per un articolo dove tratta le tracce delle famose session abortite del 1972 in Francia.
Nel terzo articolo Giampiero Frattali ci parla dei "significati reconditi" contenuti nel testo di "The Story of the Here Who Lost His Spectacles" contenuto "al centro" dell'album "A Passion Play".
Buona lettura e buon ascolto con i Jethro Tull.
1973
Quando i Jethro Tull pubblicano il loro sesto album il mondo della musica rock e della contro cultura erano in una fase di transizione molto delicata.
Il 1973 è ancora pervaso degli effetti della swinging London e della spinta culturale e ideologica nata negli anni '60 che darà i suoi più duraturi e migliori frutti proprio nella musica.
Londra è ancora il centro del mondo però cominciano a sentirsi le prime crepe e avvisarsi le prime decadenze. Anche i musicisti dell'impero cominciano a trasformarsi da onesti e geniali fan della musica, in rock star idolatrate e milionarie che a loro volta influenzeranno, nel bene o nel male, decenni di futuri musicisti ma questa trasformazione ancora non si cristallizza in debordanti e imbarazzanti fenomeni da circo nei loro pacchiani baracconi.
Un poco dello spirito creativo e genuinamente ingenuo (perdonate il gioco di parole, voluto) dell'epoca psichedelica e un poco del nuovo approccio, più tecnico, più professionale (volendo), più distante dalle ideologie non a scopo monetario e con piglio decisamente più industriale di organizzare le cose.
Il meglio dei due mondi, ben miscelato, produce opere che ancora oggi sono capo saldi e punto di riferimento per le future tendenze musicali, oltre ad essere ancora ristampate e vendute.
Il 1973 è l'anno di "The Dark Side of the Moon" dei Pink Floyd, di "Selling England by the Pound" dei Genesis, di "Larks' Tongues in Aspic" dei King Crimson, di "Space Ritual" degli Hawkwind, di "Brain Salad Surgery" di EL&P, di "Mekanik Destruktiw Kommandoh" dei Magma, tanta altra bella roba e ... di "A Passion Play" dei Jethro Tull.
L'Evoluzione dei Jethro Tull
ll 1973, in termini di rapporti con il pubblico e la stampa e anche per incidenti interni, fu per i Jethro Tull un anno brutto.
Fino a quel momento non un solo album aveva fallito le classifiche e non lo farà neppure il loro disco del 1973 ma se fino a quel momento, solo qualche "estremista" della prima ora si era limitato a mugugnare ad ogni nuova uscita della maggiore genuinità del lavoro precedente rispetto a quello nuovo, adesso i mugugni cominciavano ad essere preoccupantemente simili a quelli della critica giornalistica specializzata che con Ian Anderson, complice la sua eccentrica "diplomazia", non era mai stata particolarmente tenera.
APP era null'altro che la normale evoluzione (o per qualcuno, degenerazione) di quanto era cominciato dal divorzio con Michelone.
La presenza scenica di Ian Anderson si evolve dal solo, e apparentemente incongruo, flauto traverso dei primi album, alla prima embrionale gestualità con l'avvento del tour di "Aqualung" nel 1971. Si complica e si allarga a tutto il gruppo di scenette, coreografie, pupazzi, filmati con "Thick As A Brick" (TAAB) e con APP. Più tardi si ritualizza da "Songs from the Wood" per molto poi. Parodiarsi (volontariamente o involontariamente) negli anni '80. In ultimo incancrenirsi per normale decadimento fisico.
Nel 1973, ancora giovani, freschi, pimpanti ma con già un certo bagaglio di esperienza che ne gestisce professionalmente il tutto, i Jethro Tull si presentano sui palchi (e nei negozi) con uno spettacolo a tutto tondo che trascende la sola, stupenda, esperienza musicale.
A Passion Criticism
APP (a dimostrazione di quanto l'importanza di un'opera si misuri dal numero e dal tipo di argomenti posti dalla critica), "beneficia" principalmente di due tipi di detrattori.
Quelli a cui l'album non piace "perché preferivano i vecchi Tull" più blues folk, più rock "genuino".
E quelli a cui non piace "semplicemente" all'accostamento del precedente TAAB con il quale condivide una apparente (e tra poco vediamo perché apparente) struttura di mono pezzo lungo quanto un album e spezzato solo dal fisiologico e necessario (all'epoca) bisogno di cambiare lato, dichiarando, costoro, essere TAAB più fresco e spontaneo.
Entrambi i partiti sono comunque concordi, con un terzo partito più piccolo a cui non piace "di per se" perché è "oscuro".
A senso non apprezzare APP perché lontano dalle origini del gruppo?
Eppure molti detrattori di APP di mia conoscenza non apprezzano neanche "This Was" album agli antipodi.
"This Was" è un album uscito in pieno periodo "blues boom" a cavallo tra gli anni '60 e '70 e di questo movimento di transizione tra il british blues underground e l’hard rock ne è uno delle punte di diamante anche se per sue qualità intrinseche di originalità è in realtà anche ai margini del "blues boom". Più accostabile agli Steamhammer che a "standard" blues boom di alfieri del movimento come Jeff Beck, Saboy Brown, Ten Years After, John Mayall, Fleetwood Mac ecc.
APP è un album con una formazione completamente diversa, realizzato nel pieno dello stato dell'arte della "rigogliosa decadenza" del cosiddetto progressive britannico classico.
A senso confrontare due album molto diversi di due gruppi diversi che hanno in comune un solo medesimo componente e solo lo stesso nome in copertina, mantenuto per motivi di cassetta?
Se APP non mi piacesse non lo sarebbe perché apprezzo "This Was".
Il mio apprezzamento per "This Was" non aggiunge ne toglie nulla al mio fruire di APP.
E' sempre una questione di gusti ma i gusti vanno anche educati.
Se le mie frequentazioni musicali navigassero solo nei meravigliosi se pur ristretti ambiti di dischi come "This Was" o "Truth" del Jeff Beck Group, al primo impatto con APP o con le Lingue di Allodale crimsoniane, avrei sicuramente dei problemi. Lo stesso se frequentassi solo il cosiddetto "progressive". Spesso capita di incontrare "talebani" del prog che snobbano tutto ciò che appare più "mondano" come il blues o il folk, non accorgendosi che gli stessi "alfieri del prog" sono figli, artisticamente parlando, di questi stili.
Per approcci del genere ci vuole cultura. Non in senso di nozionismo ma nel senso della consapevolezza di approccio. E per avere consapevolezza nell'approccio ci vuole tra le varie cose esperienza e l'esperienza si crea con la frequentazione e l'approfondimento.
Non ha senso accostarsi ad APP pensando di trovarci "This Was", o viceversa. Quando ascolto uno di questi due non posso pensare minimamente in termini di paragone all'altro. Apprezzo entrambi ma nessuno dei due per i motivi che trovo nell'altro. Adoro gli spaghetti alla carbonara e adoro la crema pasticciera ma la crema pasticciera sulla carbonara no.
Altra critica comparativa: TAAB è più fluido e la struttura ad unica traccia risulta più scorrevole ed omogenea. APP risulta piu scomposto, più un patchwork forzato.
A parte che sulla scorrevolezza della prima metà del secondo lato di TAAB ci si potrebbe aprire un dibattito, cosa significa "più fluido" e quindi meno scomposto?
E questo sarebbe necessariamente un male?
Classici indiscussi del cosiddetto progressive come "Supper's Ready" dei Genesis e "A Plague of Lighthouse Keepers" del generatore Van der Gaaf sono evidenti composti di materiale originariamente indipendente tra loro. Non ho mai sentito nessuno lamentarsi di questo.
TAAB dispone indiscutibilmente di passaggi tra i più geniali e riusciti della loro discografia a unire un "brano" dall'altro. Senza questi passaggi avremo una serie di brani staccati e indipendenti (come per APP). Forse su APP sono meno riusciti ma quello che conta distinguere è che APP non è un unica traccia fluida di 45 minuti divisa solo in due parti per motivi fisici del supporto in vinile ( in realtà neanche TAAB lo è). Così l'hanno fatta apparire all'origine in un epoca in cui "il famolo strano" era l'idea alla moda e nel caso di APP per scimmiottare (questo si) TAAB, considerandolo uno dei punti chiave del suo successo.
Per andare oltre all'apparente similitudine di struttura dei due lavori basterebbe confrontare semplicemente i rispettivi "concept". TAAB a differenza di APP non racconta una storia, ma è un flusso di idee in merito alla piccolezza della società borghese e del modo di vita inglese (alla Ray Davies) molto ben riuscito, grazie soprattutto agli ottimi "bridge" detti sopra, che riescono a trasmettere meravigliosamente bene il senso di questo flusso di pensieri, fluido, scorrevole ma anche incoerente e ripetitivo, come dovrebbe essere un fluido di pensieri, esternato e non ragionato prima.
A Concept Play
In APP abbiamo una storia. La Passione di Ronnie Pilgrim, dal suo funerale, al viaggio tra paradiso e inferno, alla sua rinascita finale.
Sia per motivi interni alla narrazione, sia per coerenza alla iconografia di accompagnamento al concept (il libretto teatrale che è un altro concept dentro il concept ), la storia è divisa in macro parti (o sezioni) a loro volta divise in "brani". APP non ha bisogno che i "bridge" siano fluidi, anzi per i suddetti motivi di struttura teatrale (e che andremo ad approfondire tra poco) questi "bridge" risultano più efficaci in misura di quanto più siano in contrasto con le varie parti, quelle che raccontano sul serio la storia e la mandano avanti.
Ogni opera artistica deve trovare la sua forma ottimale per esprime al meglio, ossia con più efficacia, quello che vuole dire.
Macbeth perderebbe il 90% della sua efficacia se fosse pieno di sotto trame, personaggi comici e fosse più lungo. Per raccontare la tragedia di due folli, dei loro crimini e del mondo che si oscura intorno a loro serve una storia breve, che vada dritta come una freccia, senza distrazioni di trame parallele, di troppe descrizioni ambientali (del tutto assenti in realtà nella "tragedia scozzese"), di troppi personaggi importanti.
L'Enrico IV°, ridotto alla sola storia di un politicante dispotico, con un figlio "hippy" e delle reazioni di malcontento suscitate nei suoi "compagni di partito", risulterebbe decisamente più noioso in luogo del capolavoro di ricchezza e varietà che è, con i suoi continui cambi di scena tra gli intrichi politici e militari e le scene di vita quotidiana comiche e goliardiche, tra le sue decine di personaggi, tutti diversi, tutti contrastanti, che si alternano sulla passerella della narrazione a mostrarci la ricchezza della vita.
Visto che siamo finiti a parlare di teatro diamo un'occhiata alla scaletta che si trova nel libretto del fittizio "Linwell Theatre" contenuto in una tasca dentro la copertina di "A Passion Play" cominciando così a parlare della sua struttura e dei suoi temi.
La sceneggiatura del concept si divide in 4 atti e un Intervallo.
Act 1: Ronnie Pilgrim's funeral: a winter's morning in the cemetery.
Act 2: The Memory Bank: a small but comfortable theatre with a cinema-screen (the next morning).
Interlude: The Story of the Hare Who Lost His Spectacles
Act 3: The business office of G. Oddie & Son (two days later).
Act 4: Magus Perdé's drawing room at midnight.
A sua volta ogni Atto é suddiviso in sotto sezioni:
Act 1 – Ronnie Pilgrim’s funeral – a winter’s morning in the cemetery.
• I. “Lifebeats” (instrumental) – 1:14
• II. “Prelude” (instrumental) – 2:14
• III. ”The Silver Cord” – 4:29
• IV. “Re-Assuring Tune” (instrumental) – 1:11
Act 2 – The Memory Bank – a small but comfortable theatre with a cinema-screen (the next morning).
• V. “Memory Bank” – 4:20
• VI. “Best Friends” – 1:58
• VII. “Critique Oblique” – 4:38
• VIII. “Forest Dance #1″ (instrumental) – 1:35″
Interlude – The Story of the Hare Who Lost His Spectacles.
• IX. “The Story of the Hare Who Lost His Spectacles” – 4:18
Act 3 – The business office of G. Oddie & Son (two days later).
• X. “Forest Dance #2″ (instrumental) – 1:12
• XI. “The Foot of Our Stairs” – 4:18
• XII. “Overseer Overture” – 4:00
Act 4 – Magus Perdé’s drawing room at midnight.
• XIII. “Flight from Lucifer” – 3:58
• XIV. “10:08 to Paddington” (instrumental) – 1:04
• XV. “Magus Perdé” – 3:55
• XVI. “Epilogue” – 0:43″
Ognuna delle 16 sotto sezioni corrisponde ad una analoga traccia in cui è suddiviso l’album nelle ultime (e migliori) versioni CD. Quella 24Gold del 1998 e quella del 2003.
Le versioni in vinile distribuite nei negozi e le prime edizioni CD presentavano 2 tracce soltanto ma nel 1973, contemporaneamente al vinile commerciale, alle emittenti radiofoniche venne distribuita una versione dell’album già suddivisa in tracce nel modo che abbiamo appena visto. La suddivisione era indicata nei credits e mancava nella versione per il pubblico. Non credo (ma sarebbe interessante darci un’occhiata) che il vinile per i DJ mostrasse nei solchi delle suddivisioni tra una “sotto sezione” e l’altra.
Oltretutto molte delle “sottosezioni/brani” specie nei primi due Atti esistevano già in versione embrionale per l’abortito album la cui lavorazione era iniziata in Francia nel 1972 e diverranno noti come i famosi e bellissimi Chateau d’Isaster Tapes, del quale troverete dotta e interessante analisi nel sito di Jacopo Muneratti, "good times bad times".
La terza e ultima critica, tra quelle “ufficiali”, che viene fatta ad APP è che dal punto di vista del contenuto testuale e tematico sia un album “OSCURO”.
Si lo è. "A Passion Play" è molto “OSCURO”.
Oscuro è l’argomento del concept testuale.
Oscure sono le origini medievali, anglosassoni e germaniche, di queste rappresentazioni sacre itineranti per il popolini analfabeta e del loro rapporto con la mistica del cristianesimo delle origini pre papale.
Anderson non aiuta con un testo già di base criptico e reso ancora più ermetico da decine di riferimenti colti a cose antiche e contemporanee, nascoste in una storia apparentemente semplice.
E il momento dell’intervallo comico, "La Storia della Lepre che Perse gli Occhiali", che dovrebbe essere un momento di rilassatezza tra i 4 atti oscuri e impegnativi, è ancora più oscuro e impegnativo da interpretare .. se ci si vuole per forza trovare un’interpretazione.
Giampiero Frattali, tra il serio e il faceto, ne ha tentata una di queste interpretazioni e la trovate qui).
Questo intervallo “comico” per l’economia dell’album, sia dal punto di vista musicale che tematico, relativamente alla storia principale raccontata, potrebbe anche essere saltato (difficile da fare se non si dispone delle ultime edizioni CD).
Quindi che bisogno c’era d'inserirlo?
Anderson, filologicamente colto e preciso, inserisce l’intervallo comico in coerenza con i tradizionali e storici Miracle Plays medievali. Praticamente tutti gli studiosi di letteratura antica europea sono concordi che proprio con questa forma di teatro popolare sia nata l’usanza di inserire gli interventi comici che poi diverranno quasi sempre pratica comune nel teatro drammatico futuro come in quello elisabettiano. La Lepre in "A Passion Play" e Falstaff in "Enrico IV" hanno la stessa funzione, che è quella del trickster nel mito o del giullare nella tradizione storica ... ALT ... ancora non è chiaro. Il concept dell’album racconta una rappresentazione sacra medievale ecc ecc ma era necessario essere così estremi e rigorosi? Non è che per ascoltare il “concept” di Quadrophenia debbo andare in giro col motorino !
La maggior parte dei concept album "rock" lo sono nel contenuto, mentre per la forma ci si limita all’illustrazione di copertina o poco più. APP e TAAB (e come Too Old To Ro'n'R: To Toung To Die!), estendono alla forma l’esperienza fruitiva uditiva del pubblico. Un concept dentro un concept.
Il secondo contiene ed espande il primo. TAAB lo fa creando in tutto e per tutto il giornale di paese che pubblica la composizione del giovane enfant prodige, APP lo fa creando un supporto, il teatro, gli attori che interpretano i personaggi, a loro volta interpretati dai musicisti della band e strutturando l’album (l’altro supporto) secondo le sue regole. Le regole teatrali impongono che ci sia un libretto, una storia divisa in atti e che ci sia l’intervallo comico e quindi l’intervallo comico c'è.
Si. Quadrophenia andrebbe venduto usando come “confezione” una vera e funzionante Vespa Li 150!
Ci sarebbe una quarta frangia di detrattori. Quella per i quali l’album non piace semplicemente perché non gli piace la musica. Qui mi dovrei fermare.
Quel che apprezzo ... della musica.
La presenza di sax soprano e sopranino. Mi piace trovarlo così massicciamente presente a scapito del flauto traverso (credo ai minimi storici per Ian Anderson). Per entrambi gli strumenti non ho particolari interessi ma neanche particolari dispiaceri. Mi piace però che ogni tanto si cambi.
Gli arrangiamenti di APP sono interessanti e diversi dal solito ricco tappeto che troviamo negli altri dischi e che è vanto dei Jethro Tull (e grande lavoro di Palmer).
Qui più che stratificare in quantità si è preferito elaborare in qualità un numero minore di strumenti. Come si farà anche molto tempo dopo con "Roots to Branches" .... (fatti i necessari distinguo). Da notare che le versioni "francesi" dei brani qui contenuti, sono invece un capolavoro di compattezza e intessitura a trame fitte.
Jeffrey Hammond è un valore aggiunto di suo. A parte "This Was" (altra era, altra situazione, altro gruppo) un brano dei Jethro Tull non scritto (dichiaratamente) e non cantato (è un poco più difficile nasconderlo) da Anderson è più che raro.
E’ unico. Diamo un senso ai tre brani che Anderson gli ha dedicato in tre album.
Martin Barre, qui in APP sembra schiacciato tra Evan e Barlow ma quando c’è si sente e come ... e comunque provate a immaginare la musica senza la sua chitarra e cominciate a contare i buchi.
John Evan per la prima volta si cimenta con i sintetizzatori, uno strumento sempre a margine e sempre controverso nei Jethro Tull ma Evan al piano è sempre una delizia.
Berrie Barlow comincia la maturazione del vecchio compagno di giochi. Barlow non fa rimpiangere Clive Bunker. Bunker non fa rimpiangere Barlow. Quel “more” aggiunto da Anderson comincia ad avere i suoi perché.
La voce (di Anderson), mai studiata, allenata, protetta, qui è a livelli superati forse solo da "Warchild" ... ma quanto gli costerà caro 10 anni dopo!
Come osserva Martin Webb, "A Passion Play" è il primo album dei Jethro Tull con la stessa line up dell’album precedente. Aggiungiamo che questa stessa line up fu la prima stabile nella carriera del gruppo, durata 4 anni e 4 album e mezzo. Che questa line up, con una sola eccezione, era formata di gente che si conosceva da una vita e che aveva già suonato insieme ben prima del 1968.
Anderson, circondato da questi fantastici musicisti e amici e con una voce allo stato di grazia, sforna tra gli album più coraggiosi e creativi di tutta la sua carriera. Pietre miliari del rock cosiddetto progressivo, nel cuore temporale della prima (fortunata) decadenza del movimento.
C’è della "unità concettuale" che unisce le session francesi, APP e "Warchild" (colonna sonora di un film abortito a tema ispirato da APP e contenente brani provenienti dalle session francesi).
Ognuno dei 3 album è come una parte di un contesto più ampio. Un trittico musicale che andrebbe preso come un unico corpus musicale e narrativo.
Una cattiva organizzazione di base, finanziamenti insufficienti, mancato, storico, supporto promozionale da parte della Chrysalis oltre al sostegno mancato da parte della stampa specializzata, impedirono la realizzazione di questo progetto a lungo termine e di darne ai fan una visione chiara.
Possiamo, quindi, immaginare e comprendere tutta la frustrazione e la delusione di Anderson e soci, quando tutto questo talento e questa creatività furono resi bersagli di sberleffi e stroncature.
Possiamo, quindi, comprendere le violente reazioni che Anderson ebbe nei confronti della stampa (e che gli costarono il bando mediatico per lungo tempo).
In queste reazioni mai Ian Anderson si dimostrò più umano.
Nessun commento:
Posta un commento